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ArchiCoach

Che succede all’architetto?

La mia generazione (1975) credo sia stata molto fortunata. Abbiamo frequentato una facoltà meravigliosa con professori di grande calibro che lavoravano a cantieri importanti e che ci mostravano, con lezioni, ma soprattutto con l’esempio, come si lavorava.

All’inizio della mia carriera, lavoravo in uno studio dietro al Pantheon a Roma. Passavano di lì giornalisti e fotografi, in un clima culturale intenso e vivace. Non era solo progettazione, disposizione degli ambienti. Era di più. E’ pur vero che al centro di tutto questo processo non c’era il cliente ma l’architetto.

Poi tutto è cambiato.

A nessuno di noi credo sia sfuggito l’enorme cambiamento subito dalla figura professionale di noi architetti. In primis un cambiamento culturale. Abbiamo perso lo scettro del cantiere e della progettazione. Il divario culturale e l’asimmetria di conoscenze tecniche che contraddistingue il rapporto tra cliente e tecnico si è completamente frantumato.

Se prima eravamo visti come i depositari di idee innovative e un po’ geniali, i creatori di spazi esteticamente di rilievo, ma che avevano anche una grande valenza funzionale, ad un certo punto siamo diventati agli occhi dei clienti, dei consulenti molto costosi (a volte inutilmente a detta dei clienti) e capricciosi. Una figura che si poteva sostituire facilmente con altri tecnici, un surplus. Con il decreto Bersani siamo stati equiparati a tutti gli effetti a degli imprenditori, ponendo il focus sulla nostra attività economica, ma svalutando di fatto l’alto contenuto culturale e tecnico e il ruolo di alta responsabilità che ricopriamo nel nostro lavoro.

Di fatto siamo (o eravamo) un po’ i “guardiani” dell’edilizia, dei mille piccoli pezzi che compongono una città. La funzione di sorveglianza ed anzi di cura continua del bene comune ci è stata tolta nel momento in cui abbiamo perso la funzione di professionisti con una salda etica e deontologia e siamo stati equiparati ad un operatore economico qualsiasi.

Ma se abbiamo perso alcune funzioni e ruoli, perché non acquisire nuove competenze e conquistare nuovi spazi adeguandoci ai tempi? Perché non proporre un affiancamento nuovo al cliente che lo faccia sentire sostenuto, motivato e protagonista del progetto della sua casa?

Per me questo cambiamento è stato l’occasione per rivedere e reinventare completamente i ruoli e gli equilibri nel processo progettuale. Il protagonista vero è il cliente, l’obiettivo è realizzare una casa che non sia solo bella e funzionale, ma una casa che lo faccia stare bene. La sensazione che vorrei evocare è quella di assoluta sicurezza e completo comfort .. come in un ventre materno. Finita la giornata e lasciate alle spalle fatiche, corse stress, potersi rilassare completamente, con odori, rituali e gesti che finalmente abbiano il ritmo che vogliamo, che ci piace e ci si addice.

Io trovo che questa sia la nuova sfida che ci viene lanciata e che discipline come il coaching ela pnl ci diano una grande mano per accettarla e soprattutto vincerla.