C’è stato un momento in cui l’architettura ha incontrato la psicologia e le neuroscienze. Ed è stato subito amore.
In Italia siamo ancora piuttosto indietro sullo studio delle connessioni tra architettura ed emozioni, stimoli sensoriali (che non siano necessariamente quelli estetici) e pensieri o stati d’animo. Sicuramente però lo studio di questo argomento è davvero indispensabile per creare ambienti domestici accoglienti e che si adattino perfettamente alle persone che li abitano. Ma quali sono le cose che dobbiamo sapere per fare tutto questo?
Porre il benessere al centro della progettazione, la sensazione che ci trasmette calore, comodità, il sentirci perfettamente a nostro agio…è diversa per tutti.
Il protagonista e soggetto di questo campo di studi è quindi il cervello. Sapete come funziona il cervello negli spazi?
Quando camminiamo o ci spostiamo in uno spazio, Il cervello non si limita semplicemente a raccogliere le informazioni che l’occhio e gli altri sensi gli passano, ma agisce come “un anticipatore”. Basandosi ovvero sull’ambiente circostante è in grado di trasmetterci non solo dati visibili, ma anche sensazioni, sia positive che negative e molti altri tipi di percezioni. Pensiamo ad una sensazione di disagio negli ambienti con soffitti troppo bassi o scarsamente illuminati, oppure alla piacevole sensazione di entrare in un ambiente con ampie finestrate e con al centro della stanza un giardino interno… O pensiamo alla sensazione di casa che ci invade quando sentiamo un profumo che sentivamo sempre da piccoli nelle domeniche di festa.
Da questa considerazione ne deriva una seguente per la quale si pensa che si possano anche “pianificare”, tramite la progettazione, queste emozioni che il cervello ci passa vivendo uno spazio. Non solo le norme edilizie quindi, ma anche le influenze mentali. Si tratta di capire come si interagisce con un certo tipo di spazio, a seconda di quale sia la sua destinazione d’uso, e di cercare di provocare situazioni di benessere.
Una parte di questo studio viene fatto campionando la reazione del cervello umano rispetto ad alcuni stimoli, agganciandosi a istinti ancestrali, ma altre, pensiamoci bene, sono davvero personali, intime ed irripetibili.
A noi progettisti non cresta quindi, che avventurarci nella psiche e nei ricordi del cliente per cercare, se non di replicare le belle sensazioni, almeno di non attivare le negative.
“Il benessere è un equilibrio, perlopiù intimo, che viene raggiunto a seconda di molteplici fattori”
Giusi Ascione
Non esistono guide. Eppure gli spazi in cui ogni giorno e in ogni fase della nostra vita trascorriamo la maggior parte del tempo hanno una responsabilità molto rilevante nel forgiare la nostra persona. Sia a breve termine (nell’arco della giornata), sia a lungo termine (per esempio una scuola).
Oggigiorno noi progettisti abbiamo il dovere di porre una maggiore sensibilità a questi temi, e ritornare a pensare al comfort spirituale, sociale ed emozionale degli individui che andranno a vivere le architetture e gli elementi da loro progettati. Forse ancora prima di ricercare “la novità” a tutti i costi, “l’effetto wow” a tutti i costi – si potrebbe investire più risorse ed energie per andare ad eliminare le possibili sensazioni di disagio e per andare ad incrementare quelle di piacere.
In questo periodo più che in altri ce ne siamo resi conto. Non lasciamoci scappare l’occasione di vivere in una casa che ci renda più felici.
Dopotutto è proprio quello che si faceva nella storia antica, quando gli architetti ponevano al centro gli stati mentali dell’uomo. Pensiamo alle visioni prospettiche, alla modularità, alle piante circolari, all’altezza delle chiese gotiche e all’ordine nelle facciate così come negli spazi interni. Una volta si era molto più attenti a come il corpo reagiva alla geometria delle cose. Poi questa sensibilità si un po’ persa, forse perché si è incominciato a paragonare le abitazioni a “macchine da abitare”?
E così, dopo queste parole chiedo a voi…siete sicuri che la “bellezza” come la intendiamo tradizionalmente, contribuisca a renderci felici. E soprattutto ci rende liberi? O magari siamo imprigionati in una visione dell’architettura basata solo sulla vista e che tralascia gli altri sensi?
A voi la risposta.